Ainis: cercasi compiti per il nuovo senato

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    Le riforme costituzionali hanno una lunga gestazione, con un avanti-indré tra le due camere. E la riforma del senato dovrebbe avere il voto definitivo nel prossimo settembre, stando all’ultimo rinvio. Michele Ainis, però, denuncia sul Corriere della sera che la riforma è piuttosto carente su un punto, che per tutti, meno che  per i politici, dovrebbe avere la sua importanza: quali compiti avrà il nuovo senato? Finora non lo ha capito nessuno, ma i politici si limitano a litigare solo su un punto: se i senatori debbano essere eletti o nominati.

    “Nessuno ha ancora capito – scrive Ainis – che diavolo (il senato) dovrebbe fare, e come, e perché. Sappiamo soltanto che sarà composto da 5 senatori a vita, 22 sindaci, 73 consiglieri regionali. Tutti a costo zero, e con funzioni zero. Sarebbe il caso di rifletterci, spendendo al meglio questo tempo supplementare che si è concessa la politica. Invece lorsignori s’avvitano in estenuanti discussioni sull’elettività dei senatori. Errore: partiamo dalle competenze, non dalle appartenenze. Cerchiamo di recuperare qualche contrappeso, avendo rinunziato al superpeso del bicameralismo paritario. E trasformiamo Palazzo Madama — istituzione in croce — nel crocevia delle nostre istituzioni.

    “Qualcosa – aggiunge Ainis – nel testo di riforma c’è, però i silenzi contano più delle parole. C’è una funzione di raccordo del Senato con i territori: da un lato le Regioni, dall’altro l’Europa. Basterà a restituire un’anima alla nuova creatura? Diciamo che basta per la geografia, non per la storia. E la nostra storia è innervata dal ruolo degli enti locali, più di recente dal rapporto con l’Unione Europea. Ma è innervata — anche e soprattutto — dai contributi dell’associazionismo, delle categorie produttive, delle rappresentanze d’interessi. Non a caso l’articolo 2 della Costituzione individua nelle «formazioni sociali» la sede in cui ciascuno può arricchire la propria personalità. E non a caso i costituenti disegnarono il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, aprendolo al mondo della produzione e delle imprese. Con la riforma il Cnel tira le cuoia, pace all’anima sua. Alla prova dei fatti, non lo rimpiangeremo. Ma non possiamo lasciare i gruppi organizzati orfani di qualsivoglia rapporto con lo Stato. Serve un canale istituzionale: quale, se non proprio il Senato?”. Il resto dell’articolo potete trovarlo sul Corriere della sera di carta o in versione online.

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