Atac, i mezzi bruciano e i conti sono a rischio

Brucia un mezzo Atac a via del Tritone (dove fa notizia: quando i roghi su gomma scoppiano in periferia non se ne fa quasi menzione) e il mondo si accorge che a Roma non funziona nulla, anzi, oltre a non funzionare niente, il pendolare rischia di finire arrosto con tutto il mezzo. Se ne accorge anche la Sindaca che rilascia una dichiarazione fra il lunare ed il marziano “quello che posso dire ancora è che in effetti sono calati i numeri dei bus incendiati rispetto allo scorso anno”. Come dire “è normale che brucino, però ne bruciano un po’ meno”. Insomma, occorre rassegnarsi a rischiare la fine di Giovanna d’Arco e senza il vescovo Cauchon e il tribunale ecclesiastico. La riffa capitolina prevede di pescare il biglietto per essere arsi vivi direttamente dal tabaccaio o dalle macchinette automatiche.

In un paese normale tutti i mezzi di quella serie verrebbero fermati ed esaminati, cercando di capire le cause dell’incendio, a Roma non si può: si dice per vetustà del parco mezzi, carenza di manutenzione, diffide dei fornitori per mancati o ritardati pagamenti.

La stampa romana, le voci sindacali…quello che vi pare, ma il dato di fatto è che a Roma gli autobus prendono fuoco all’improvviso e la questione non riguarda una specifica serie, ma più tipologie e modelli.

Intanto, i mezzi in strada sono sempre meno, sempre più affollati e, ovviamente, sempre più pericolosi. Il popolo bove tace e continua a tacere: esemplare la vicenda del referendum radicale sulla privatizzazione di Atac, sul quale da mesi incombe una cappa di silenzio e che la giunta grillina ha recentemente rinviato da giugno all’autunno (forse sperando che le piogge ottobrine possano mitigare le arsure dei mezzi su gomma). Non mi soffermo sulle motivazioni tecniche o meno tecniche, ma sul fatto che i cinque stelle, esattamente come tutti i partiti di qualunque colore che li hanno preceduti, utilizzano il corpaccione delle municipalizzate romane come serbatoio di consensi politico-sindacali, senza turbare lo status quo, a parte il ricorso all’escamotage del concordato preventivo per evitare il fallimento.

Anche sulla vicenda del concordato si potrebbe scrivere una enciclopedia, ma sia sufficiente ricordare la data del prossimo 30 maggio, quando i vertici della municipalizzata dovranno integrare il piano del concordato e rispondere alle osservazioni del Tribunale fallimentare. Il rischio che qualcosa non vada come dovrebbe è concreto. Cosa succederebbe in caso di fallimento non è dato sapere, ma è certo che, in qualche modo, si dovrebbe assicurare la continuità del servizio per non gettare nel caos la Capitale.

Gli autobus in fiamme, sempre di più, e la incosciente rassegnazione dei Romani, un popolo che fa del “fare spallucce” una filosofia di vita, sembrano un pessimo viatico per le scadenze giudiziarie sulla vicenda Atac, ma, al momento, tutto si sta consumando in un assordante silenzio, sia i mezzi che le linee di credito aperte dalle banche.

 

CB