Lettera detenuto: “Cucchi fu picchiato dai Carabinieri”

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     Stefano Cucchi, il romano di 31 anni fermato il 15 ottobre 2009 per droga e morto una settimana dopo all’ospedale ‘Sandro Pertini’ di Roma, «disse che non voleva andare in ospedale perchè lì non si poteva fumare». È uno dei passaggi della testimonianza di Gianluca Piccirillo, il medico del carcere di Regina Coeli che il 17 ottobre dispose il secondo ricovero del giovane a causa delle sue precarie condizioni di salute. Il medico è stato sentito oggi al processo per la morte di Cucchi che vede imputate dodici persone: i sei medici che ebbero in cura il giovane (Aldo Fierro, Silvia Di Carlo, Flaminia Bruno, Stefania Corbi, Luigi De Marchis Preite, Rosita Caponetti), tre infermieri (Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe) e tre agenti della polizia penitenziaria (Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici). A vario titolo e a seconda delle posizioni sono accusati di lesioni, abuso di autorità, favoreggiamento, abbandono di incapace, abuso d’ufficio e falsità ideologica. «Cucchi lamentava nausea e dolenzia diffusa – ha detto ancora Piccirillo -. Disse che era caduto ma sul dove e quando non rispose. Era lucido, ma indisponente; più insistevo con le domande, più non rispondeva». Il medico ha detto di avere insistito molto per convincerlo a farsi ricoverare. «Iniziai una sorta di lotta con lui», ha precisato. Piccirillo ha confermato che Cucchi «aveva una lesione alla zona dell’osso sacro che mi sembrò più vecchia di un giorno, ecchimosi varie ed eritemi che sembravano invece più recenti. Era molto dolorante; tant’è che voleva gli facessi una puntura». Successivamente sono stati sentiti l’ispettore capo della polizia penitenziaria Michele Fiore e il coordinatore del nucleo traduzioni di Regina Coeli, Alessia Forte. Entrambi hanno raccontato le difficoltà, anche burocratiche, precedenti al trasporto di Cucchi dal pronto soccorso dell’ospedale ‘Fatebenefratellì di Roma al reparto detenuti del ‘Pertini’.

    È entrata a far parte del fascicolo processuale sulla morte di Stefano Cucchi la lettera che Alaya Tarek, l’extracomunitario che raccolse le confidenze del giovane nel centro clinico del carcere di ‘Regina Coelì, fece ricopiare a un altro detenuto italiano. I contenuti sono stati confermati in aula da Pasquale Capponi, che fu materialmente colui che trascrisse la lettera, poi ricevuta dal senatore dell’Italia dei valori Stefano Pedica e consegnata alla procura. «Io Cucchi non l’ho visto nè conosciuto – ha detto Capponi -. Fu Tarek a chiedermi di ricopiargli una lettera. Era scritta in un italiano strano». Tra le righe, Tarek scrive che durante un colloquio Cucchi gli disse «mi hanno ammazzato di botte i carabinieri, tutta la notte ho preso botte per un pezzo di fumo». Assenti oggi in aula anche due ex detenuti albanesi, che il giorno della convalida dell’arresto di Cucchi si trovarono insieme con lui nelle celle del tribunale romano. Anche loro avrebbero sostenuto di aver saputo da Cucchi che era stato picchiato dai carabinieri. Non si sono presentati in aula perchè non sono stati trovati. Il pm si è dichiarato disposto a rinunciare alla testimonianza, ma è giunta l’opposizione della difesa che invece ritiene la loro audizione assolutamente necessaria; saranno quindi effettuate nuove ricerche. Il processo riprenderà la prossima settimana; saranno convocati 14 testimoni.

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