Se la salute diventa un problema di ordine pubblico…

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C’è una grammatica dell’emergenza che, in Italia, si declina insieme ai termini “commissario straordinario” e “semplificazione” e che la crisi sanitaria in corso ci ha reso tristemente nota.
E’ il segno del fallimento della amministrazione ordinaria. Ad esempio: in Italia esisteva un piano per la gestione delle epidemie prima di febbraio 2020? Esistevano scorte di emergenza di DPI e presidi sanitari?
Forse. Ma all’atto pratico ha poca importanza perché non ha funzionato nulla in questi mesi. E’ quel che accade quando un sistema pubblico progettato per determinate funzioni diventa soltanto una valvola di spesa, finendo per fare tutt’altro rispetto a quello che dovrebbe fare.
Il male dell’Italia è questo: nessuno fa quel che dovrebbe, ma tutti rispondono ad altri scopi, personali o di terzi. Siamo il paese della “eterodirezione”: in sanità bisogna accontentare l’imprenditore che porta i voti e allora gli si accreditano i posti letto, bisogna occupare con i primari i reparti degli ospedali pubblici in logica Cencelli, bisogna far vedere che, nonostante tutti gli sprechi, siamo “rigorosi” ed allora ecco i commissariamenti regionali ed i piani di rientro.
Mutatis mutandis, lo stesso schema si ripete un po’ ovunque dove si parla di servizi pubblici. Questo sistema conviene quasi a tutti o almeno così è stato fino alla fine degli anni ’80. In pratica, se la nonna fosse morta per cattive cure era un problema tuo, ma in pubblico i politici si spellavano le mani applaudendo al sistema sanitario nazionale, grande conquista tutta italiana. Peccato che quel sistema è morto quando al suo posto sono nati i sistemi sanitari regionali e tutto il mondo della sanità paraprivata.
E’ lo stesso schema utilizzato per trasformare l’amministrazione pubblica in un serbatoio elettorale popolato da personale vecchio, poco qualificato e scarsamente operativo: diamo tutto fuori a consulenti, società miste, società private ma di “amici” dove infilare comodamente chi ci pare.
Peccato poi che in questo paese – dove quasi nessuno fa quel che dovrebbe, dovendo rispondere “a chi mi c’ha messo” – non funzioni assolutamente nulla. E c’è da stupirsene? In fondo è colpa nostra.
E allora scopriamo oggi, con diecimila positivi (in aumento lineare col numero dei tamponi che varia di giorno in giorno) che il grande piano del Governo per aumentare le terapie intensive non ha proprio funzionato perché le stronzate fatte con gli accessi al corso di laurea in medicina e con le specializzazioni ora fruttano meno medici specializzati a disposizione. Per non parlare poi degli infermieri specializzati che sono da decenni il vero tallone d’Achille della sanità italiana. Quindi ecco le cooperative fasulle, magari fondate per finanziare il partito o la fondazione del politico di turno, con lavoratori sottopagati, sfruttati e dequalificati.
Arriviamo quindi ai provvedimenti di queste ore: un rigurgito ribollente di invocazioni alle chiusure, ai divieti, al coprifuoco come se una questione sanitaria dovesse necessariamente trasformarsi in un problema di ordine pubblico. I geni al potere, avendo capito che un altro blocco semitotale come quello della scorsa primavera, significherebbe, in soldoni, crisi di liquidità dello Stato e ristrutturazione del debito pubblico, sanno bene di non avere molta scelta: il sistema sanitario non potrebbe reggere (succede ogni inverno con l’influenza che ammazza qualche migliaio di anziani di cui non frega nulla a nessuno, il covid è più pericoloso e può esserlo anche per i “giovani” quindi ora tutti a sporcarsi le mutande, politici inclusi).
Insomma, in questi mesi non si è fatto poi granchè, a parte i lanci stampa, in più sono stati commessi errori gravi come aprire le frontiere fra le regioni per salvare la stagione turistica: così chi proveniva da territori pieni di malati ha portato il virus in giro per l’Italia, anche dove non si era ancora diffuso. Il resto è storia.
Insomma, la regola rimane la solita: affidatevi allo stellone e pregate. In Italia non cambia mai niente, alla fine tutto diventa un problema da risolvere invocando “a ppolizzia” o “e esercito”.

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