Raggi e Zingaretti, nemici social ed amici ai tavoli istituzionali

L’emergenza rifiuti nella Capitale è un esempio perfetto per comprendere il cortocircuito emotivo-propagandistico innescato dalla auto “deistituzionalizzazione” delle figure apicali, dei vertici politico-amministrativi degli Enti locali e delle Amministrazioni nazionali.

Si tratta di un processo di decostruzione dei profili “alti” che, per la natura intrinseca del ruolo nell’architettura organizzativa dello Stato e delle autonomie locali, dovrebbero  imporre ad un Sindaco ed un Presidente di Regione di non abbandonarsi alla propaganda.

Questa decostruzione che riduce i rappresentanti ad agit prop mediatici è insita nel percorso involutivo dei 5 stelle.

L’esperimento grillino nasce infatti come forma auto organizzativa dei cittadini in comitati locali e si fonda sull’idea di una parità assoluta fra i partecipanti e di una coincidenza fra rappresentati e rappresentanti. Inviare l’uomo della strada nei posti di potere secondo il “mitologein” della ontologica incompetenza e corruzione dell’amministratore locale professionista sembrava la soluzione ideale per riscattare decenni di frustrazioni della “brava gente”, dipinta come “ceto oppresso”, rispetto alla politica locale e nazionale, rappresentata come “ceto oppressore e corrotto”.

Peccato che né tutti i politici possano definirsi corrotti, né tutti i bravi cittadini possano definirsi senza macchia dato che, soprattutto in Italia, esistono larghissime zone grigie che vanno da piccole elusioni fiscali allo scambio di favori o, mi si passi il gioco di parole, al voto di scambio e che i cittadini, alcuni, i più favoriti, ne beneficiano a danno degli altri.

Insomma: non è che l’italiano medio sia un irreprensibile sacerdote di una correttezza apollinea e tanto è vero questo fatto che in questo allegro paese ci si è dovuti inventare un succedaneo del concetto di mera “applicazione e rispetto della legge dello Stato valida erga omnes”, introducendo quel sopraffino costrutto ideologico denominato “legalità” che non significa alcunché in uno Stato che non garantisce la certezza del diritto e la celere composizione delle controversie civili, processi penali ragionevolmente rapidi e certezza delle pene irrogate.

Torniamo quindi alle cose della Capitale per ricordare che in tre anni di gestione del mastodonte capitolino e dei suoi pargoli – le municipalizzate dal debito facile e lo stuolo di società più piccole, tutte strapuntini per politici trombati, parenti, amici e via discorrendo – questa giunta e questo sindaco hanno ampiamente dimostrato che il paradigma grillino del cittadino-amministratore è del tutto fallace.

Non ci si può infatti improvvisare amministratori di un grande ente locale in (sostanziale) dissesto finanziario senza far danni. E allora, quando il tempo passa e la corda del crollo dei consensi si stringe attorno al collo (politicamente parlando) del personaggio di turno, ci si rivolge al fulgido esempio salviniano: facciamo un bel video, facciamo i selfie, facciamo dichiarazioni estemporanee a mezzo social e, soprattutto, facciamo finta di non essere il vertice di una Istituzione, un rappresentante eletto, e cominciamo a chiamare a noi le masse di tifosi del vasto mare di internet (molti dei quali, è facile capirlo, han fatto di questo interventismo telematico un vero e proprio mestiere).

E’ il trionfo della Scena sulla Realtà: non è importante gestire i problemi, è importante strillare e dare la colpa al “nemico”, sempre e comunque. Corollario di questo principio è che chiunque non plauda bovinamente alle nostre grida contro il complotto dei poteri oscuri vada considerato automaticamente colluso con essi o col nemico.

Sarebbe comico, se non fosse tragico e dannoso, questo esperimento di trasmutazione della realtà in propaganda e, francamente, chi fa informazione ha qualche difficoltà ad illustrare il proprio lavoro perché nessuno vuole ascoltare, nessuno vuole capire, ma tutti vogliono tifare.

Leggersi un bilancio, leggersi una ordinanza comunale, leggersi una delibera di giunta, ricostruire i passaggi di gestione fra giunte diverse, cercare i numeri, chiarire i tempi, ricostruire i fatti è un lavoro lungo e complicato, ma cascano le braccia di chi prova a farlo, con tutti i limiti, quando l’unica risposta che si ode è un conato automatico di “e allora il piddi?”.

Poi però come nel caso della crisi della “monnezza”, i fatti tracimano per loro ineludibile potenza e anche la propagandista (Raggi) ed il suo forzato mentore (Di Maio) devono sedersi ad un tavolo istituzionale e rendere dichiarazioni, anche esse istituzionali, che fanno a botte con i video barricaderi e le accuse deliranti che si sono lanciate soltanto 24 ore prima coram populo.

E’ come per l’ATAC: grida il sindaco di aver salvato “undicimila posti di lavoro” con il concordato preventivo. Dimentica però di dire ai Romani che quel salvataggio lo pagheranno loro – oltre che con gli incredibili disservizi e rischi che la scarsa manutenzione dei mezzi e delle infrastrutture fanno correre agli utenti – anche con la “postergazione” (parola orrenda) di un credito di mezzo miliardo che il Comune vantava nei confronti della municipalizzata e che viene sottratto alle risorse del comune di Roma.

Insomma, Raggi dice la verità senza volerlo: ha pagato una clamorosa cambiale elettorale ai dipendenti ATAC ed ai loro sindacati, facendo carne di porco degli utenti e cittadini paganti. Prova ne sia che proprio una sindacalista autonoma in origine molto vicina ai grillini, Micaela Quintavalle, è stata licenziata in tronco per aver detto la verità, ossia che gli autobus di ATAC sono pericolosi per carenza di manutenzione e per usura e che sono a rischio di incendio – realtà concretamente dimostrata dalle decine di veicoli bruciati in ogni punto della città negli ultimi tre anni. Ma la verità al tempo della propaganda ha scarsa popolarità.

Chi scrive ha, nel tempo, aspramente criticato sia la giunta Alemanno, sia la giunta Marino e, ora, critica la giunta Raggi e, per relato, anche il Presidente Zingaretti al quale non perdoniamo l’intemerata di due estati fa sulla crisi idrica di Roma, costruita a tavolino per avere consenso elettorale per le elezioni regionali della primavera successiva.

Le istituzioni dovrebbero ricordarsi ogni tanto di fare le istituzioni e non di aizzare la pancia dell’inclita, se ne gioverebbe la qualità della vita di tutti.

CB