Riccardo Genghini risponde: “Dalla sorpresa per l’eredità all’eredità senza sorprese

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    “Le Roi est mort, vive le Roi!”. Si urlava nella Francia pre-rivoluzionaria a significare la continuità generazionale della monarchia a capo del Paese. La formula risulta, ancora oggi, di forte impatto, riportando alla mente il tema della successione ereditaria. In particolare, il momento in cui l’erede è chiamato a farsi carico del lascito del defunto.

     

    Secondo la legge, l’erede diventa tale solo quando esprime la propria volontà di accettare l’eredità. Prima di questo passaggio, colui che è “chiamato all’eredità” può rinunciare allo stato di erede attraverso una formale dichiarazione resa innanzi al Tribunale o a un Notaio. In questo caso, l’eredità è devoluta a coloro che seguono nella linea di successione del defunto.

     

    L’accettazione può essere:

    1. Espressa, quando il “chiamato all’eredità” dichiara la volontà di accettarla, assumendo formalmente il titolo di erede, tramite atto pubblico o scrittura privata
    2. Tacita, quando il “chiamato all’eredità” pone in essere azioni come se avesse accettato l’eredità (ad esempio vende o dispone di un bene ereditario)

     

    Inoltre, l’accettazione può essere pura e semplice o con beneficio di inventario. Nel primo caso, i patrimoni del defunto e dell’erede si uniscono (la c.d.  “confusione”). Come conseguenza, l’erede è tenuto al pagamento dei debiti ereditari anche con i propri beni personali e anche oltre il limite del valore di quanto ricevuto in eredità.

    Nell’accettazione con beneficio di inventario, invece, i patrimoni restano distinti e l’erede è tenuto al pagamento dei debiti ereditari solo con i beni che provengono dall’eredità e nel limite del valore di quanto ricevuto. Questo tipo di accettazione è per legge obbligatoria nel caso di minori, minori emancipati, interdetti, inabilitati, persone giuridiche, associazioni, fondazioni ed enti non riconosciuti.

     

    Quali sono i tempi per accettare una eredità? I termini variano in funzione del possesso o meno dei beni ereditari da parte del “chiamato all’eredità”. Per “possesso” si intende qualsiasi forma di detenzione e utilizzo dei beni del defunto.

    In assenza di possesso, il “chiamato all’eredità” può accettare con beneficio d’inventario entro il termine di 10 anni. Dalla dichiarazione, ha poi 3 mesi di tempo per fare l’inventario. Se, invece, ha svolto l’inventario prima della dichiarazione, deve formalizzare la dichiarazione di accettazione entro 40 giorni dall’inventario, pena la perdita del diritto di accettare l’eredità.

    In caso di possesso dei beni, il “chiamato all’eredità” ha solo 3 mesi, dal giorno dell’apertura della successione o dalla notizia della devoluta successione, per manifestare l’eventuale rinuncia all’eredità. Trascorsi i 3 mesi, implicitamente e tacitamente, accetta l’eredità. Entro lo stesso termine (prorogabile di ulteriori 3 mesi), deve provvedere anche all’inventario dei beni. Qualora ciò non avvenisse, trascorso il termine, il “chiamato all’eredità” sarà considerato erede puro e semplice e sarà tenuto al pagamento di eventuali debiti, anche con il proprio patrimonio personale.

     

    E’ importante sapere che, per accelerare i tempi di pronuncia della eventuale accettazione dell’eredità, la legge offre lo strumento della actio interrogatoria, disciplinata dall’articolo 481 del codice civile. Essa prevede che “chiunque vi ha interesse può chiedere che l’autorità giudiziaria fissi un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia all’eredità. Trascorso questo termine, senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde il diritto di accettare”.

     

    Quale tipologia di accettazione scegliere? La valutazione spetta solo al “chiamato all’eredità”, ma il Notaio può avere un ruolo importante nell’accompagnarlo nelle scelte da compiere. Infatti, come esperto, può fornire una spiegazione esaustiva della disciplina in materia e rappresentare al cliente i vari scenari, illustrando le diverse conseguenze dell’una o dell’altra scelta.

     

    Da non confondere l’accettazione dell’eredità con la dichiarazione di successione. Quest’ultima è un adempimento fiscale richiesto dal Ministero delle Finanze per il calcolo delle imposte sul patrimonio ereditario. Avendo natura fiscale, la dichiarazione va fatta a prescindere dalla accettazione dell’eredità e non è ad essa consequenziale; può essere presentata dallo stesso “chiamato all’eredità” (anche qualora dovesse successivamente rifiutare il lascito), o anche da soggetti esterni all’eredità, come ad esempio il curatore dell’eredità giacente. Una volta registrata la dichiarazione di successione e pagate le imposte, gli eredi devono procedere alla “trascrizione della accettazione dell’eredità”. Un passaggio che serve per garantire la c.d. “continuità delle trascrizioni”, richiesta dalla legge per la corretta circolazione degli immobili nel nostro ordinamento. La trascrizione viene curata da un Notaio, che può essere lo stesso che ha ricevuto l’atto di accettazione espressa, oppure dal Notaio che riceve il primo atto di disposizione di un bene ereditario, se l’accettazione è tacita.

     

    Va specificato che gli altri adempimenti fiscali e le spese legate a eventuali immobili facenti parte del patrimonio ereditario, come IMU, tassa rifiuti, spese condominiali, diventano a carico degli eredi sin dal momento della apertura della successione, quindi dall’evento morte, e non dalla registrazione della dichiarazione di successione, come molti invece pensano.

     

    Infine, dal punto di vista tecnico – giuridico, la successione si considera conclusa quando, in un momento successivo, vi è la divisione dei beni ereditari e\o la liquidazione del patrimonio. Mentre, dal punto di vista dell’erede, la successione può dirsi conclusa una volta ottenuta la disponibilità dei beni, cosa che avviene una volta registrata la dichiarazione di successione. A questo punto: “Vive le Roi”!

     

     

     

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