Nanosensore facilita la diagnosi del tumore tiroideo

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    Realizzato un nanosensore per facilitare la diagnosi del tumore tiroideo –

    Un sensore in fibra che potrebbe facilitare la diagnosi e l’individuazione delle terapie più appropriate per combattere il tumore della tiroide è il risultato della collaborazione di tre gruppi di ricerca del Cnr di Napoli – l’Istituto per l’endocrinologia e l’oncologia “Gaetano Salvatore” (Cnr-Ieos), l’Istituto di scienze e tecnologie chimiche “Giulio Natta” (Cnr-Scitec) e l’Istituto di scienze applicate e sistemi intelligenti “Eduardo Caianiello” (Cnr-Isasi).

    Il dispositivo, descritto in un articolo pubblicato sulla rivista Biosensors and Bioelectronics, riesce a identificare e misurare la presenza di una particolare proteina, la tireoglobulina (Tg), nel liquido di lavaggio dell’agoaspirato. La presenza di questa proteina nel liquido di lavaggio di ago aspirati, ottenuti da linfonodi “sospettati” di metastasi, è attualmente uno dei metodi che permette di diagnosticare con certezza l’estensione, extratiroidea, del tessuto tumorale.

    E’ un  esame particolarmente importante sia nell’approccio chirurgico iniziale, sia per il successivo follow-up dei pazienti. La tireoglobulina, infatti, è una proteina presente, in condizioni normali, esclusivamente nella tiroide, per cui quando la sua identificazione avviene nei linfonodi è indicativa della presenza di metastasi. Ad oggi, la localizzazione di tale proteina richiede l’impiego di sofisticati metodi di dosaggio basati su apparecchiature che sfruttano specifici anticorpi, con tempi di rilevazione lunghi e non facilmente applicabili in sala operatoria in caso ci siano dubbi diagnostici.

    Per questo motivo, è spesso il chirurgo a dover valutare, in base alla propria esperienza, l’estensione dell’intervento da effettuare senza potersi avvalere di alcun supporto strumentale. Ora, con il  nuovo sensore, che si basa sull’analisi della luce diffusa,  è possibile identificare, in tempo reale e con elevata sensibilità, la tireoglobulina nel liquido di lavaggio dell’agoaspirato dei linfonodi tiroidei.

    Il biosensore sfrutta la diffusione di radiazione laser e consente l’identificazione della proteina grazie all’analisi del colore della luce che essa riflette (diffusione Raman). Il risultato è di particolare rilievo anche perché la Tg da identificare è presente in quantità minime nel campione insieme a tante altre molecole e sostanze che potrebbero mascherarne la presenza.

    “La diffusione Raman ha un potenziale enorme nella realizzazione di sensori in campo biologico e potrebbe avere applicazioni di grande utilità diagnostica, in quanto la luce, diffusa da un oggetto, porta con sé una ‘firma’ unica della composizione molecolare e della struttura del materiale stesso”, spiega Anna Chiara De Luca, coordinatrice del Laboratorio di biofotonica presso Cnr-Ieos, tra gli autori dello studio.

    “Ma i segnali Raman sono così deboli che il loro uso è stato finora molto limitato al di fuori della ricerca. Per amplificarli – conclude – abbiamo combinato tale tecnica con l’impiego di materiali metallici nanostrutturati che fungono da amplificatori di segnale, in modo da rivelare anche poche molecole”.

    Il biosensore è, infatti, costituito da un substrato Sers assemblato su chip o direttamente sulla punta di una fibra nel laboratorio di Polymer Optoelectronics & Photonics da Francesco Galeotti (Cnr-Scitec) attraverso l’uso di nanosfere di polistirene strettamente impacchettate e ricoperte d’oro. L’impacchettamento delle nanosfere, le loro dimensioni ed eventuali trattamenti chimici permettono di amplificare il segnale Raman in una maniera molto efficace e poco costosa. Il segnale Raman è poi ulteriormente amplificato dall’impiego di sfere d’oro nano strutturate, trattate chimicamente e in grado di catturare in maniera specifica la proteina, e coniugate con un Raman reporter, una piccola molecola con uno specifico segnale Raman.

    “In questo modo – aggiunge Sara Spaziani, biotecnologa presso il centro CNOS – anche quando la tireoglobulina è presente a bassissime concentrazioni, questa si lega al substrato SERS e, solo in questo caso, la nanoparticella d’oro si lega a sua volta alla proteina, amplificando così il segnale Raman e preservando la specificità del sensore. Con questa strategia – conclude – siamo riusciti a rilevare la Tg direttamente nel liquido di lavaggio dell’agobiopsia di pazienti affetti da tumore alla tiroide.”

    Il biosensore sviluppato può essere realizzato sia su chip sia su fibra, e quindi potrebbe essere utilizzato anche direttamente all’interno dell’ago durante il prelievo del campione. Se i risultati saranno validati in studi preclinici e clinici, il biosensore potrebbe essere utilizzato per lo screening, la diagnosi, la selezione della terapia e il monitoraggio della progressione del cancro della tiroide e delle eventuali recidive.

    Inoltre in futuro la tecnica potrebbe essere estesa all’identificazione di metastasi anche da altri tipi di tumori. Lo studio è stato reso possibile grazie anche al sostegno del Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR), di Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro e delle infrastrutture campane CIRO e CNOS.

    Rita Lena

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