Scoperta nel cervello l’area della curiosità

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    Scoperta nel cervello l’area della curiosità –

    La curiosità, la voglia di indagare e di novità nasce con noi, nel nostro cervello, ed ha la sua sede fisica in una sottopopolazione di neuroni che si trovano nella cosiddetta “zona incerta”: una striscia orizzontale di materia grigia situata sotto il talamo.

    Descritta per la prima volta da Auguste Forel nel 1877 è chiamata così perché non si conosce bene la sua funzione. Tra le ipotesi, il controllo dell’attività viscerale e del dolore.

    La scoperta, pubblicata su Science, è frutto di uno studio condotto sui topi da un gruppo di ricercatori dell’Università americana Vanderbilt, tra i quali anche Cody Siciliano, una neuroscienziata di origine italiana.

    La curiosità verso l’ambiente in cui si vive e verso il nostro prossimo e, più in generale, la spinta motivazionale verso la conoscenza e verso l’ignoto, è considerata un istinto connaturato agli esseri viventi, come la fame e la sete. Un prerequisito evolutivo per una conoscenza più complessa e per l’adozione di comportamenti adattivi. Ma i meccanismi neurobiologici che sottendono a queste importanti funzioni, sono ad oggi ancora sfuggenti.

    Ricerche precedenti sulla neurobiologia della curiosità si erano concentrati sui centri cerebrali deputati alla ricompensa o alle aspettative di ricevere un premio associate ad un’azione. Ma la curiosità non può definirsi in questo meccanismo neurobiologico, perché induce comportamenti esplorativi che non si aspettano necessariamente un premio.

    Per scoprire dove effettivamente nasce la curiosità, Meharan Ahmadlou e colleghi hanno messo, quindi, a punto una serie di esperimenti per valutare come i topolini interagivano con nuovi compagni e nuovi oggetti e ne hanno analizzato l’attività cerebrale associata ai comportamenti.

    I ricercatori hanno così scoperto che una popolazione di neuroni GABAergici, nell’area cerebrale “zona mediana incerta” (ZIm), si è rivelata essenziale nel suscitare la curiosità, la spinta a conoscere quel che è nuovo. Gli scienziati hanno, inoltre, dimostrato che disattivando questi neuroni con la tecnologia dell’optogenetica (tecnica che utilizza una combinazione di luce e ingegneria genetica per controllare le cellule del cervello, modificando le informazioni genetiche inserendo o eliminando informazioni nel codice genetico) riducevano il comportamento esplorativo.

    Un risultato che potrà avere, secondo i ricercatori, importanti applicazioni terapeutiche per gli uomini e per gli animali.

    Rita Lena

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