Dopo Berlusconi, Berlusconi: e tutto il resto è noia

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    Berlusconi giovane

    Berlusconi giovane

    Il giorno della resa dei conti si è rivelato soltanto l’ennesima scenografia leaderistica in salsa brianzola, con l’aula plaudente, il voto plebiscitario che neanche il plenum del partito del popolo della nord Corea, Brunetta che proclama l’ovvio e una sfilza di dichiarazioni tra lo scontato e il banale, fra le quali spicca quella dell’ex ministro Prestigiacomo che ci invita alla prossima rivoluzione liberale annunciata, come se negli ultimi vent’anni in Parlamento ci fossi stato io e non loro.

    Angelino fa la stampella a Letta perché, come dice re Giorgio (Napolitano, non Hannover), un pessimo governo è meglio di nessun governo. Sono convinto che Alfano abbia fatto un pessimo affare, perché senza i soldi del suo ex mentore è difficile fare politica, specie in un’epoca di idee scarse e prospettive politiche ancora più scarse delle idee. Come qualcuno cantava, “il Carrozzone va avanti da sé con le regine, i suoi fanti e i suoi re”, ma per andare avanti ci vogliono le ruote ed ecco la ruota di scorta del Nuovo Centro Destra Italiano. A proposito, penso sia uno dei nomi più brutti mai scelti, appena davanti a “Fratelli d’Italia”.

    I nomi però sono importanti, come le radici. Qui i nomi ci dicono che le radici mancano, come le idee di cui sopra e chi non ha passato è davvero difficile che possa costruirsi un futuro. Un futuro però che ci riguarda tutti perché su una cosa Grillo ha ragione – una soltanto – possiamo non occuparci della politica, ma la politica si occupa di noi.

    Cosa farà Berlusconi col nuovo giochino, anche qui scarsa la fantasia coi nomi, a parte utilizzarlo come un’arma per evitare l’inevitabile, è difficile a dirsi e spero che il suo narcisismo non gli impedisca di rendersi conto che non riuscirà a far cadere il governo e a vincere le successive elezioni.

    Non ci saranno sorprese e non ci saranno le urne ed anche il Vietnam parlamentare, termine tanto caro all’uomo di Arcore, senza i numeri è soltanto un fuoco di paglia. Quindi dove conduce il sentiero di Ho Chi Minh che la nuova Forza Italia dovrebbe rappresentare? Non certo all’offensiva del Tet, ma all’isolamento politico e ad una vocazione minoritaria, mentre la tempesta giudiziaria si abbatte sul leader maximo che, comunque, non è più tanto giovane.

    Si sono visti i limiti fisici che la carta d’identità impone a tutti, anche a Silvio, prudenza avrebbe consigliato di lasciare da vincitori, ma questa virtù non appartiene agli italiani in generale ed a Berlusconi in particolare.

    “Finché eravamo giovani era tutta un’altra cosa”, ma ora il tempo è passato e sarebbe stato meglio cercare di creare qualcosa che potesse sopravvivere al suo fondatore e non una corte di berlusconiani e “diversamente berlusconiani”.

    Ho scritto un pezzo su vicende di partito, ma devo ricordarmi di rendere un servizio al lettore, parlando della realtà. In ogni caso, consumato il divorzio, i problemi Letta li ha comunque, Cancellieri a parte, e sono estremamente concreti, nella misura in cui il cappio degli accordi europei stretti dai precedenti governi, Monti e Berlusconi, si va stringendo intorno al collo del Paese sotto forma di avanzo primario obbligato da destinare ad abbattimento del debito.

    Il debito pubblico funziona da zavorra, la pietra al collo è il peso degli interessi – dei quali lo spread è soltanto una misura assai parziale – la via maestra per ridurre il peso degli interessi è creare delle dinamiche di finanza pubblica stabilmente orientate alla riduzione della spesa, ma questo non deve far dimenticare il tema della riforma fiscale. In questo triangolo delle Bermude, debito, interessi e fisco, si dibatte da anni la politica italiana e Letta non fa eccezione. Sono decisioni pesanti che incideranno sulla vita di milioni di italiani, sono decisioni che la politica non è in grado di prendere, troppo impegnata nella ventennale dicotomia pro/contra Berlusconi, sono decisioni che restano li, mentre il quadro economico e sociale va degradandosi ogni anno che passa.

    In questo senso la continuità della proprietà privata di un partito è una iattura e sentire gente che parla ancora di rivoluzione liberale dopo decenni di scelte politiche consociative e legate a mandata doppia al neocorporativismo all’italiana fa disperare che esista ancora un collegamento fra la realtà e la torre d’avorio della politica italiana. (Cosimo Benini)

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