Dolore cronico diffuso e fibromialgia, e l’intestino come sta?

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    Uno stile di vita che comprenda un’alimentazione sana ed equilibrata è un suggerimento valido per tutti, ma lo è ancor di più per chi soffre di dolore cronico diffuso e la fibromialgia. «Molti degli stimoli dolorosi possono essere causati da un’alterazione del microbiota. Adottare la dieta mediterranea, tenere conto di eventuali intolleranze ad alcuni alimenti, integrare nel caso sia necessario con la Vitamina D, e un costante esercizio fisico, sono le armi per vincere in benessere. Sotto tutti i fronti», sostiene il neurologo e nutrizionista Menotti Calvani.

    Non confondiamoli: dolore cronico diffuso e fibromialgia non sono la stessa cosa. «Il primo è una condizione che può scaturire da molteplici malattie e che coinvolge circa il 13% della popolazione, e può essere l’espressione di più patologie reumatiche, post infettive, dismetaboliche. La seconda, invece, è la punta dell’iceberg del dolore cronico diffuso e coinvolge dal 2 al 4% della popolazione», precisa il Dottor Stefano Stisi, Presidente del CReI, il Collegio Reumatologi Italiani che dà avvio oggi alla sua prima giornata di lavori del XX Congresso Nazionale dedicato alle “Malattie senza dolore”. Un titolo, una contraddizione: «Un augurio», preferisce definirlo il Presidente Stisi: «È il sogno dei medici e dei pazienti. Stiamo cercando di renderlo realtà».

    Ma facciamo chiarezza: come si distinguono dolore cronico e fibromialgia? «Sul primo, nonostante esista una discreta letteratura internazionale, non c’è ancora una condivisione unanime. Riguarda nella stessa misura entrambi i sessi e si può diagnosticare in base a due criteri: se si ha dolore alla parte alta e bassa e da ambo i lati del corpo per tre mesi consecutivi, oppure secondo quelli topografici di Manchester se i pazienti indicano dei punti sui quadranti appositamente disegnati su un manichino si può essere in presenza di dolore cronico diffuso», spiega il Segretario del CReI, il Dottor Gianniantonio Cassisi, reumatologo presso l’Asl di Belluno e membro dell’Italian Expert Meeting on Fibromyalgia and Chronic Widespread Pain. «I motivi per cui può presentarsi, però, sono davvero tanti. Dalle malattie degenerative a una carenza di Vitamina D fino a una poliartrosi che perdura da tempo: bisogna essere particolarmente attenti nel fare diagnosi. Ecco perché prima bisogna escludere tutte le altre patologie che possono dare gli stessi sintomi. Nei prossimi giorni, daremo le nostre raccomandazioni per l’appropriatezza nella gestione del dolore cronico», aggiunge il Dottor Cassisi. La fibromialgia, invece, presenta dolore cronico diffuso ma non si esaurisce con questo: «Presenta astenia, disturbi del sonno, di ansia, dell’umore e della sfera cognitiva che minano seriamente la qualità della vita, relazionale e lavorativa delle persone. Riguarda in prevalenza le donne e pare che solo il 20% dei pazienti che hanno dolore cronico diffuso abbiano la fibromialgia. È una malattia difficile da comprendere, bisogna conoscerla molto bene», puntualizza Cassisi.

    La fibromialgia è una malattia complessa, multifattoriale, invisibile, molto spesso incompresa e che rende difficili i rapporti di qualunque natura. «Su questa sindrome ci sono state un po’ di incomprensioni nel corso degli anni», commenta il Professor Menotti Calvani, neurologo e nutrizionista dell’Università Tor Vergata di Roma: «Chiamata con altri nomi, la si conosce già dal 1500. Poi, nel 2000, il College of Psychiatric ha detto che non esisteva e oggi sappiamo che esiste eccome, grazie agli studi effettuati con la risonanza magnetica. Si tratta di un disturbo da sensibilizzazione centrale, che fa percepire il dolore in modo amplificato». Oggi la scienza, si sta interrogando parecchio sul ruolo dell’intestino, che dagli studi sembra averne uno da protagonista anche nella fibromialgia. «Molti dei fibromialgici presentano disturbi gastro intestinali, come la SIBO, o il colon irritabile per esempio», premette il Professor Menotti Calvani: «Noi sappiamo che molti dei recettori dei neurotrasmettitori presenti nell’intestino influenzano il tono dell’umore e i centri del dolore. Sappiamo anche, dai dati, che l’intestino dei fibromialgici, che assumono antidolorifici e gastroprotettori che riducono l’importantissima funzione di bloccare l’acidità gastrica, è più permeabile di altri. Questo vuol dire che mettono in circolo, nel corpo, più sostanze che causano dolore, come adrenalina e dopamina per esempio». L’altra domanda che ci si è fatti, visto che la fibromialgia riguarda più le donne è se ci possa essere una connessione con il genere: «Oggi dobbiamo indagare il microgenderoma, perché anche gli ormoni hanno un ruolo nell’influenzare la corretta funzionalità dell’intestino», osserva il Professor Calvani.

    Come potremmo migliorare la sintomatologia di chi soffre della sindrome fibromialgica? «In primis, si deve valutare se ci sono intolleranze. Sappiamo che il 36% dei fibromialgici è intollerante al lattosio, mentre il 49% al glutine. Poi, valutare se ci sono carenze di Vitamina D, o un’alimentazione che non segua i principi della dieta mediterranea, con cibi poco cotti e ricchi di fibre che aiutano la corretta funzionalità intestinale». Charles Darwin, il biologo celebre per la teoria della specie, per esempio soffriva di un dolore cronico e si accorse di migliorare la sintomatologia dolorosa e gastro intestinale grazie all’eliminazione di latte e creme a base di latte. «Poi, dovremmo fare attenzione al peso: gli obesi hanno una flora intestinale con una minore variabilità di batteri che possono essere di aiuto al benessere globale. È come se una grande città si trovasse a un certo punto senza operatori ecologici e altri servizi: nel lungo periodo si avvertirebbe un disagio» Si può parlare di una dieta che vada bene per tutti? «No, perché ogni individuo è a sé, ma si possono dare delle indicazioni: ridurre la quantità di zucchero e introdurre più fibre con alimenti integrali. Poi, si possono consigliare accertamenti sulle intolleranze. Inutile, per esempio, privarsi del glutine se non si è intolleranti. Si rischia di perdere elementi preziosi e di aumentare di peso, perché quei cibi sono più calorici di altri. Dovremmo controllare anche la presenza o meno dell’alterazione di un gene, quello della produzione di acido folico, e che grazie a una serie di meccanismi interni permette di eliminare omocisteina, anche questa causa di aumento del dolore».

    Da non dimenticare è la buona abitudine al costante esercizio fisico, che aiuta anche l’intestino.

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