La fisioterapia alle Olimpiadi

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    Studiare, studiare e ancora studiare. Perche’ non si arriva alle Olimpiadi per caso, nello sport come nella fisioterapia: a contendersi una medaglia non ci sono solo gli atleti piu’ forti al mondo ma anche il loro staff pronto a prendersi cura del loro organismo nel complesso. Dietro ogni risultato o prestazione, c’e’ un pezzetto di un lavoro di gruppo che vede il fisioterapista tra i protagonisti.

    Lo sa bene Nicola Sepulcri, che segue la nazionale italiana di salto con gli sci, reduce dai Giochi di PyeongChang 2018. Tesserato dell’Aifi, l’Associazione italiana fisioterapisti, segue anche gli atleti delle Fiamme Oro che fanno discipline alpine e in particolare nordiche come fondo, combinata, salto e biathlon. “Una vita sempre in viaggio” la sua, “tanto che avere una famiglia adesso sarebbe difficile. Ma finche’ c’e’ la passione, sono felice di questi ritmi intensi”. Ci si gioca tutto in pochi giorni, in gara come sul lettino del fisioterapista. Soprattutto in competizioni come quelle invernali, dove c’e’ un nemico in piu’ da affrontare: il freddo. “Un atleta puo’ restare magari a una temperatura di -20 gradi con vento gelido anche per venti minuti, aspettando il suo turno. E’ normale che quando arriva giu’ dopo il salto sia congelato, soprattutto mani e piedi”, racconta Sepulcri all’agenzia Dire.

    E qui entra in scena lui. “Io sono un termosifone ecologico multifunzione- spiega ridendo- e mi capita spesso che l’atleta mi chieda di scaldarlo. I rimedi principali che uso sono prodotti come creme specifiche che mi permettono di gestire le temperature, ma quando ha finito di gareggiare, io sono sempre pronto a coprirlo con la sopratuta e con i vestiti riscaldati, oltre che a fornire scarpe di ricambio. Nel mio caso, il fisioterapista non fa solo il fisioterapista, ma supervisiona e ‘fa da chioccia’ per controllare anche che il suo ‘paziente’ abbia bevande calde, energetiche e ipotoniche, barrette varie e frutta secca, ovviamente sempre in rapporto con il medico dello sport, con i suoi consigli o prescrizioni”.

    A proposito. Spesso si dice che il fisioterapista e’ il miglior amico (durante certi trattamenti dolorosi, anche il peggior nemico pero’!) di un atleta. “Verissimo. Ci vuole tempo per avere la fiducia ma poi diventiamo i confidenti principali e i ragazzi si aprono con noi, soprattutto perche’ non chiediamo prestazioni ma chiediamo ‘come stai’, ‘come posso farti sentire meglio’. Ovviamente io sono obbligato a riferire all’allenatore cosa non torna dal punto di vista fisico”.

    Un approccio che non cambia neanche in vista di una gara importante come quella di un’Olimpiade. “Piuttosto e’ la tensione dell’atleta a cambiare, il suo essere a disagio oppure lo stato psicologico magari dovuto a un trauma o a insicurezze”. Ma il lavoro parte da lontano, specialmente in discipline particolari dove non c’e’ un lungo periodo di stop tra una stagione e l’altra. “Prevenzione e cura vanno di pari passo- evidenzia Sepulcri- Se faccio l’esempio della Coppa del mondo di salto, non c’e’ soluzione di continuita’. Si gareggia anche d’estate sull’erba in plastica e c’e’ al massimo un mese di stacco tra le due stagioni. Poi ci sono gli interventi per infortuni, e li’ bisogna agire con il gioco di squadra, chiamando anche lo psicologo. L’alimentazione svolge un ruolo importantissimo: nel salto, ad esempio, dobbiamo mantenere un peso forma al grammo perche’ basta un solo etto in piu’ per essere magari squalificati. L’attenzione va prestata a ogni dettaglio, dalla digestione all’aspetto mentale, in una continua registrazione del sistema”.

    Come immagina la fisioterapia sportiva dei prossimi anni, dal suo punto di vista? Sono all’orizzonte tecniche particolari da applicare in questo campo? “Io personalmente sto studiando osteopatia per integrare le mie competenze, in particolare mi sto dedicando alla specializzazione in neuro-osteopatia. Questo mi aiuta molto non tanto per lavorare sulla muscolatura, quanto sulla tensione generale del corpo e del sistema nervoso centrale, a volte anche prima della competizione con due o tre trattamenti. Credo che in futuro puntero’ molto su queste tecniche certificate”. Ma va fatta una precisazione fondamentale: “Sono comunque gli studi in fisioterapia a darmi la certezza di quello che sto facendo. In base alla mia esperienza, sono convinto che si deve modificare il percorso formativo del fisioterapista, ma anche la sua durata. Tre anni danno un’ottima formazione, ma cinque sarebbero l’ideale, e sicuramente inserirei nei corsi materie come psicologia dello sport e approccio all’alimentazione.

    Noi, infatti, spesso siamo la prima persona a cui si rivolge un atleta e dobbiamo essere in grado di indirizzarlo al meglio e rassicurarlo sull’intervento del medico. Io sono stato fortunato ad aver studiato al San Raffaele a Milano dove tutto questo era previsto, ma non e’ una prassi omogenea. Secondo me si dovrebbe dare un’infarinatura di queste nozioni anche alle scuole superiori, ormai. E’ questo tipo di formazione che ti fa distinguere professionalmente e ti consente di progredire, fino a raggiungere la vetta di un’Olimpiade”. Nel caso di Sepulcri, PyeongChang e’ stata la prima esperienza a cinque cerchi. “Un’esperienza strana, bella, brutta e intensa allo stesso tempo. In squadra abbiamo dovuto modificare la gestione degli eventi, passando da una competizione di solito in un weekend a una gara su piu’ giorni, oltre a modificare gli orari proprio di vita, con colazione alle 11, pranzo alle 17 e cena alle 2 di notte per trattare gli atleti. Poi, certo, c’e’ il fascino dell’appartenenza a una nazione. Insomma- chiude Sepulcri- alla fine e’ un’esperienza che rifarei assolutamente”.

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