L’intervista a Ludovico Muzii, professore ordinario di Ginecologia e Ostetricia dell’Università Sapienza di Roma

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    (DIRE) Roma, 30 set. – Piu’ grassi meno fertili. E’ proprio cosi’, sono infatti sempre piu’ numerose le evidenze dell’impatto
    negativo che sovrappeso e obesita’ possono avere sulla funzionalita’ riproduttiva e sulla risposta ai trattamenti di procreazione medicalmente assistita.

    Tale condizione causa minore capacita’ riproduttiva sia negli uomini sia nelle donne. Nel primo caso, accentuando problemi di disfunzione erettile, o riducendo il numero di spermatozoi, mentre nel secondo caso aumentando il tasso di complicazioni in gravidanza o, piu’ nello specifico, la riuscita dei cicli di fecondazione in vitro.

    Per capire meglio come stanno le cose e le strategie giuste da mettere in campo, l’agenzia di stampa Dire ha ascoltato Ludovico Muzii, professore ordinario di Ginecologia e Ostetricia dell’Universita’ Sapienza di Roma e responsabile clinico dell’Uoc Infertilita’ e Fivet del Policlinico Umberto I di Roma.

    – Che effetto hanno il sovrappeso e l’obesita’ sulla fertilita’?
    “Sovrappeso e obesita’ sono situazioni purtroppo molto comuni, in particolar modo nelle societa’ odierne. Possiamo dire che il 50% della popolazione in eta’ riproduttiva e’ sovrappeso o persino obeso. E’ stato stimato che una paziente in sovrappeso ha un 30% in meno di fertilita’, mentre una obesa arriva addirittura ad un meno 80% di fertilita’”.

    – In caso di infertilita’ accertata, qual e’ il peso ideale affinche’ una donna possa essere sottosta a stimolazione ovarica
    e successivamente a Pma?
    “Non e’ stata fissata una vera e propria ‘soglia’ di peso poiche’ noi ci esprimiamo piuttosto in termini di Bmi (indice di massa
    corporea) e sicuramente in questo senso e’ consigliabile stare sotto i 25 ed e’ obbligatorio scendere sotto i 30 di Bmi. Questo
    cosa vuol dire? Esemplificando significa che una donna di un metro e 60 di altezza per un peso di 65 kg e’ gia’ entrata nella
    categoria del sovrappeso, dove si riscontra una diminuzione della fertilita’ significativa e dunque dei risultati che si possono
    ottenere con la riproduzione assistita. La prima cosa che dovrebbe fare una paziente, prima ancora di accedere ad un centro
    di riproduzione assistita, e’ la riduzione del peso sotto i 25 Bmi”.

    – Una paziente obesa e candidata a Pma che deve scendere molti chili ma non ha tempo, magari per motivi di eta’, di seguire un programma alimentare che duri un anno, puo’ assumere farmaci che aiutino un piu’ rapido dimagrimento?
    “La questione e’ molto complessa. E’ vero, purtroppo, che le pazienti si recano nei centri di fertilita’ quando l’eta’ e’ anche piu’ avanzata dei 36 anni, ad esempio qui al Policlinico Umberto I l’eta’ media delle nostre pazienti e’ oltre i 37 anni.
    Ed e’ chiaro che proporre a una donna con questo profilo di dover aspettare mesi per guadagnare la soglia di Bmi piu’ giusta puo’ far perdere piu’ tempo alla paziente. La prima indicazione che noi diamo alle pazienti e’ quella di condurre uno stile di vita appropriato, riduzione del peso tramite consulenza multispecialistica e in particolar modo seguire una dieta unita
    ad attivita’ fisica. Nel caso ci siano le indicazioni per assumere farmaci, come ad esempio la Metformina, anche se il suo effetto sul peso non e’ cosi’ incisivo, e’ bene fare tutto cio’ che contribuisce ad un piu’ rapido dimagrimento. Sarebbe utile
    prevenire il problema attraverso una maggiore educazione sanitaria e culturale incentivando le donne a programmare una
    gravidanza in eta’ piu’ precoce adottando uno stile di vita quanto piu’ sano prima di accedere ad un centro di Pma”.

    – Qual e’ il suo consiglio per tutte quelle donne che per motivi economici, sociali e sentimentali, come la mancanza di un
    compagno stabile, procrastinano il momento del concepimento? Il social freezing puo’ rappresentare la soluzione?
    “Credo che il social freezing rappresenti una ‘falsa’ soluzione. Esistono sicuramente delle indicazioni precise per la
    preservazione della fertilita’ e che sono quelle oncologiche. A una paziente che si deve sottoporre a radio o chemioterapia
    naturalmente bisogna proporre la preservazione della fertilita’. Il social freezing a mio avvisa manifesta pero’ diversi problemi, e il primo e’ quello che non e’ finanziato dallo Stato e rappresenta quindi un costo per la paziente. Secondo, la donna che opta per questa tecnica di conservazione ha gia’ una eta’ piuttosto elevata. Spesso queste donne che si rivolgono ai centri privati sono gia’ oltre i 35 anni, e solo il 10% di queste, ci dice la letteratura internazionale, torna a ‘usufruire’ di quegli ovociti congelati. In realta’ nella maggior parte dei casi succede che concepiranno spontaneamente o ricorrendo a Pma ma con tecnica ‘a fresco’ piuttosto che utilizzare gli ovociti congelati. Non e’ una soluzione praticabile, secondo me, su vasta scala perche’ non e’ costo-efficace. Credo che il social freezing per come viene visto e raccontato dai mass media, oppure dalle multinazionali come Google e Facebook che proponevano gratuitamente il social freezing alle loro dipendenti, in realta’ e’ una falsa rassicurazione che viene fornita alle pazienti.
    Bisogna puntare maggiormente sull’educazione e informare le donne che la fertilita’ decresce proporzionalmente dopo i 30, e dopo i 35 anni precipita. Se dei soldi pubblici vanno investiti a mio avviso dovrebbero essere convogliati sulla famiglia, sulla genitorialita’ ed erogati anche in supporto alla giovane lavoratrice”.

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