In Italia sei milioni di persone con problemi alla tiroide

In Italia sei milioni di persone con problemi alla tiroide –

Torna l’appuntamento annuale con la settimana mondiale della tiroide, da oggi a domenica 28 maggio. In Italia sono circa 6 milioni le persone con problemi alla tiroide, anche se si tratta in prevalenza di patologie non gravi e curabili. La notevole diffusione di queste malattie, soprattutto nel genere femminile e spesso all’interno dello stesso nucleo familiare, rende centrali i temi della predisposizione genetica e della familiarità.

Allo stesso modo, la necessità di individuarle tempestivamente e poter garantire una buona qualità di vita a chi ne è affetto, apre le porte al tema della cronicità. Le principali società scientifiche hanno elaborato un documento chiarificatore, condiviso con l’Istituto superiore di sanità, volto a dissipare i dubbi e rispondere alle domande più frequenti dal titolo ‘Tiroide: genetica, familiarità e cronicità’.

La Settimana mondiale della tiroide 2023 è patrocinata dall’Istituto superiore di sanità )Iss) e promossa dalle principali società scientifiche endocrinologiche, mediche e chirurgiche, quali Ait – Associazione italiana della tiroide, Ame – Associazione medici endocrinologi, Sie – Società italiana di endocrinologia, Siedp – Società italiana di endocrinologia e diabetologia pediatrica, Sigg – Società italiana di gerontologia e geriatria, Siuec – Società italiana unitaria di endocrino chirurgia, Aimn – Associazione italiana medici nucleari, Simg – Società italiana di medicina generale e delle cure primarie, Eta – European thyroid association, insieme a Cape – Comitato delle associazioni dei pazienti endocrini e sostenuta con un contributo incondizionato da parte di Ibsa farmaceutici e Merck Serono.

“L’importante diffusione delle malattie tiroidee nella popolazione italiana – afferma Anna Maria Biancifiori, presidente Cape, che riunisce le associazioni dei pazienti endocrini – rende necessario chiarire alcuni aspetti spesso trascurati ma di rilievo per i pazienti. Davanti ad una nuova diagnosi per una malattia che abbia una qualche possibile familiarità il primo pensiero, dopo la preoccupazione per la propria salute, è la possibile ricaduta sui figli. Per questo abbiamo sentito l’urgenza di chiedere agli esperti di fare luce su questi aspetti”.

“Crediamo, infatti – prosegue – che conoscere la storia medica della propria famiglia può essere di aiuto per permettere di identificare precocemente eventuali predisposizioni o rischi e mettere quindi in atto le misure necessarie a ridurre almeno i fattori di rischio modificabili per quella malattia o sottoporsi a procedure di prevenzione attive”.

“Spesso – sottolinea il coordinatore scientifico della Smt e presidente Ait, Associazione italiana tiroide, Marcello Bagnasco – è radicata la convinzione che queste patologie, soprattutto se presenti all’interno dello stesso nucleo familiare, siano causate da una predisposizione genetica o da una familiarità alla malattia, e che, quindi, esista un qualche grado di rischio di contrarre la malattia per i familiari”.

“Attraverso questo documento, frutto della collaborazione delle principali società scientifiche e del Cape – continua – vogliamo chiarire i dubbi che ruotano intorno a predisposizione genetica e familiarità, primo fra tutti il preconcetto che siano termini intercambiali: la familiarità ad una qualsiasi patologia, anche tiroidea, prende in considerazione fattori genetici, ma anche ambientali, alcuni dei quali ben conosciuti e modificabili con successo. Al contrario, anche all’interno delle alterazioni genetiche, si distinguono quelle che sono causa di malattie ereditarie da quelle non trasmissibili”.

In particolare, esistono malattie congenite causate da alterazioni del funzionamento o dello sviluppo della tiroide che si manifestano sin dalla nascita e la cui manifestazione clinica è l’ipotiroidismo congenito. Nella maggior parte dei casi queste condizioni non hanno carattere di familiarità. È essenziale, tuttavia, riconoscere la malattia precocemente, sin dalla nascita, per prevenire gravi deficit neurocognitivi e dello sviluppo.

“Fortunatamente in Italia, grazie alla Legge n. 104/1992 – rende noto Antonella Olivieri, responsabile scientifico del Registro nazionale degli ipotiroidei congeniti e dell’Osservatorio nazionale per il monitoraggio della Iodoprofilassi dell’Istituto superiore di sanità – è attivo un programma nazionale di screening neonatale per l’ipotiroidismo congenito, che consente l’individuazione precoce dei bambini affetti da questa patologia i quali, quindi, possono ricevere la terapia di cui hanno bisogno entro le prime settimane di vita”.

“La presenza di uno screening neonatale rivolto a tutti i neonati e la disponibilità di un sistema di sorveglianza attiva della patologia – conclude – garantiscono la massima efficienza di un sistema di prevenzione che consente un’ottima qualità di vita a questi bambini”. (Fde/Dire)