Covid, il tempo che rimane

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Proviamo a ragionare in modo ordinato sulla situazione.

L’infezione virale che stiamo affrontando emerge attraverso uno specchio “deformante” nei suoi aspetti epidemiologici e numerici. I motivi sono tanti, ma il principale è l’elevato numero di pazienti asintomatici o paucosintomatici. In linea generale la gravità dei sintomi è età-correlata, ma non si tratta di una regola ferrea, non è una certezza.
Questo rende l’infezione estremamente subdola: è cosa certa che esistono portatori asintomatici e che, molto probabilmente, sono infettanti. Non c’è modo di fare uno screening a tutta la popolazione e tanto meno di assoggettarla a campagne di screening a ripetizione nel tempo.
Quando un virus nuovo entra in contatto con un organismo sconosciuto può succedere di tutto: anche, ad esempio, che si scateni una reazione immunitaria “avversa” per cui il sistema immunitario finisca per creare più danni del virus stesso (in questo caso ai polmoni).
In sostanza se ve lo prendete, giovani o meno, è un terno al lotto: ci sono casi di nonnini ultra novantenni che lo hanno superato brillantemente e casi di baldi giovani che sono finiti intubati. Certo, nella generalità dei casi, l’età avanzata e un elevato indice di comorbilità richiamano una prognosi infausta.
Discorso a parte per tutti coloro che non sono immunocompetenti (anche se un immunomodulante si sta rivelando utile per ridurre gli effetti avversi di tipo autoimmune di cui sopra) e che devono tutelarsi il più possibile.
Altro tema “caldo”: chi guarisce, diventa immune? Una reinfezione è possibile, in forma attenutata? Non vi sono certezze a riguardo.
E’ anche difficile dire se e quando le misure di mitigazione porteranno su scala nazionale ad un “effetto Codogno”, né, tanto meno, se eventuali ulteriori focolai non possano spuntare qua e là nei prossimi mesi anche nel caso più favorevole di un contenimento efficace che “azzeri” i contagi nelle prossime settimane.
Poi ci sono le questioni più triviali dell’economia, della finanza pubblica e, ovviamente, anche la questione umana.
Prima considerazione: quanto può reggere il bilancio dello Stato prima di entrare in crisi di liquidità e smettere di pagare stipendi e pensioni? Voglio essere franco: se la questione durerà un mese, un mese e mezzo, non ci saranno problemi. Se dovesse durare oltre, saranno necessarie politiche straordinarie e coordinate in tutta Europa per evitare le insolvenze dei bilanci nazionali. Unico elemento di consolazione: la questione interesserà tutti. E’ iniziata in Italia, per quanto concerne l’Europa, ma si sta velocemente estendendo. Non è mai stato un problema solo italiano. Presto sarà chiaro a tutti. Temo molto quel che potrà accadere in USA. Se la Cina ne sta uscendo e l’Europa si appresta ad entrarvi, gli USA stanno clamorosamente sottovalutando la questione. O per Trump è accettabile un numero di morti elevato (anche se non si può dire) o per gli americani sarà un disastro.
La Cina ha dimostrato che uno Stato totalitario può reggere alla catastrofe. L’Italia ha la chance di dimostrare che una democrazia europea può farcela ugualmente, ma in modo diverso. Vedremo.
Seconda considerazione: quanto può resistere psicologicamente la popolazione in isolamento? Anche qui, stimo un tempo di uno, massimo due mesi. Poi cominceranno i problemi psicologici, la depressione, i suicidi, aumenterà il ricorso agli psicofarmaci ed alle droghe (mi immagino già che le forze dell’ordine si troveranno a bloccare “corrieri” per lo spaccio domiciliare).
Terza considerazione: quanto può resistere il sistema politico? Tanto meno, quanto più a lungo durerà la situazione e la conseguente “erosione” della struttura sociale così come l’abbiamo conosciuta sino ad oggi.
Non voglio fare il profeta di sventure, ma, ad un certo punto, dovremo scegliere se “accettare” un certo numero di morti, tentando, ovviamente, di contenerli il più possibile e ricominciare, progressivamente, a mettere in moto la società, almeno per le funzioni essenziali. Nel frattempo, si spera, entreremo progressivamente in uno scenario “TBC like” dove, al posto dei vecchi sanatori, avremo strutture ad hoc per il Covid, separate dagli ospedali “ordinari”.
Tuttavia dovremo “riaprire”, almeno per il lavoro.

Abbiamo tuttavia due speranze – e voglio essere chiaro: la Storia insegna che l’umanità è sempre stata salvata da svolte tecnologiche radicali (gli antibiotici, i vaccini, la sanità di massa, per riferirmi al solo tema della salute) – la prima, la scoperta e la produzione in massa di un farmaco antivirale che inibisce la malattia, riducendola davvero ad un raffreddore. La seconda: la messa a punto di un vaccino preventivo ed una campagna di vaccinazione di massa.

Credo che gli sforzi in questa direzione saranno giganteschi e, pour cause: chi vince la corsa al farmaco o al vaccino, farà bingo (e parlo delle compagnie farmaceutiche).

Speriamo che la scienza faccia celermente il suo corso, quindi.

CB

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