Tragedia Boccea, la sorella dei due rom: “Mamma ha aiutato la polizia”

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    Al campo della Monachina, sul cavalcavia che taglia la via Aurelia appena fuori dal Grande Raccordo Anulare, oggi ci sono solo le donne e i bambini. Generazioni di nomadi sedute sui divani e le sedie della baracca della mamma dei due fratelli arrestati dalla polizia perchè ritenuti responsabili dell’incidente mortale di mercoledì scorso costato la vita alla 44enne filippina Corazòn Abordo ed il ferimento di altre 8 persone. A consolare le donne del campo c’è Claudia, sorella dei due fuggitivi. Nei suoi occhi ha ancora impressa l’immagine della mamma che all’alba si presenta al campo. «Li ho trovati, sono in un campo qui vicino», annuncia l’anziana, stremata da una notte passata in giro tra le sterpaglie in cerca dei suoi due figli. «Era preoccupata, pensava fossero feriti o addirittura morti – racconta la figlia -. Subito dopo essere rientrata ha chiamato con il cellulare la polizia. Quando sono arrivati gli agenti li ha accompagnati al campo dove si erano nascosti i miei fratelli che da cinque giorni erano senza acqua e cibo». «Finalmente è finito un incubo – aggiunge -. Loro hanno sbagliato e ora è giusto che paghino».

    Tra i racconti e le considerazioni sulla tragedia che ha sconvolto non solo un quartiere ma tutta la Capitale, la sorella dei fuggitivi non nasconde qualche rimpianto per come siano andate le cose quella sera, avallando anche l’ipotesi che sull’auto-killer ci fosse anche una quarta persona, il padre. «Se mio padre non gli avesse chiesto di accompagnarlo in ospedale ora non sarebbe successo nulla – dice -. Mi chiedo perchè non abbia chiamato un’ambulanza come fa ogni volta che ha problemi con il pacemaker. La verità è che ci ha rovinato la vita, mi chiedo come gli sia venuto in mente di far guidare il figlio minorenne nella corsa in ospedale. Lui non sapeva guidare bene, non sapeva quello che stava facendo». Si sentono sollevati, alla Monachina, anche gli altri del campo dove vive la famiglia dei due ragazzini arrestati. «Speriamo che ora si spengano i riflettori su di noi – sottolinea uno di loro-, non siamo tutti uguali. Non possono accusare un’intera comunità per l’errore commesso da tre o quattro persone».

    Le volanti della polizia restano ferme all’incrocio, qualcuno passa e dà un’occhiata al campo. Stamattina è arrivato anche il fratello di Corazòn, voleva incontrare la famiglia dei ricercati, ma è stato fermato. «Non pensavamo fosse lui. Ci hanno consigliato di rientrare ma se avessimo la possibilità ci piacerebbe incontrare i parenti della donna uccisa – chiosa la sorella -, da parte nostra non possiamo che chiedere perdono».

    (Ansa)

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