Non c’è pace per il Colosseo

Ricevo e, molto volentieri, pubblico l’intevento dell’amico Carlo Di Clemente, archeologo impegnato nella (ri)scoperta delle bellezze capitoline, specialmente quelle inconsuete o trascurate, grazie all’associazione “Roming” ed alle sue visite guidate.

Carlo solleva un tema dolente: la nuova “pedana mobile” in fibra di carbonio che dovrà adornare l’arena del Colosseo, per la gioia dei turisti “mordi e fuggi” per la modica cifra di sedici milioni di euro. Il progetto, annunciato in pompa magna dal ministro Franceschini divide, in effetti, la comunità degli studiosi e degli addetti ai lavori.

 

E’ di questi giorni la notizia, presentata in pompa magna dal Ministro della Cultura Dario Franceschini e dalla direttrice del Parco Archeologico del Colosseo Alfonsina Russo, della realizzazione, entro il 2023 di una struttura rimuovibile e reversibile, all’interno dell’Anfiteatro Flavio, idealmente simile alla antica arena nella quale si svolgevano i ben noti spettacoli di gladiatori (munera) e di fiere selvatiche (venationes). Risorgerà così l’antica arena del Colosseo permettendo ai turisti in visita di avere una visuale “inedita” delle strutture del più noto edificio per spettacoli di tutti i tempi. Costo dell’opera, che nelle intenzioni dei suoi artefici, sarà ultra moderna e dotata di paratie mobili, 18,5 milioni di euro. Per una pedana. Ci si chiede, a fronte di una tale ingente spesa, quali siano i benefici di un’opera del genere e poco o nulla convincono le parole del ministro quando annuncia “spettacoli ed eventi esclusivi”, non meglio specificati, da svolgersi presso la nuova struttura, in modo da destinare il monumento ad attività che vadano oltre la semplice fruizione turistica e l’allestimento di mostre temporanee. Per giustificare questa nuova “vocazione” che il Colosseo dovrebbe avere, sono stati addotti numerosi esempi di edifici antichi ancora utilizzati per spettacoli: il Teatro Greco di Siracusa, quello di Epidauro, l’Arena di Verona e, senza andare troppo lontano dalla capitale, si aggiunga pure il teatro di Ostia Antica (con il piccolo particolare di essere stato in buona parte ricostruito nella prima metà del XX secolo). Giustissimo, se non fosse che tutti questi edifici presentano uno stato di conservazione di gran lunga migliore rispetto al Colosseo, il quale oggi ci appare come il risultato di un millennio e mezzo di abbandono, spoliazione, devastazione, con l’asportazione totale della cavea e la perdita della sua acustica. Scomparse dunque le gradinate, è lecito chiedersi dove potrebbero trovar posto eventuali spettatori, visto che, ironia e paradosso della Storia, un edificio in origine concepito per accogliere decine di migliaia di spettatori (dalle 50000 alle 70000 persone, secondo le stime più accreditate), oggi presenta spazi abbastanza angusti, come ben sanno le file di turisti incolonnate che a fatica riescono a passare da un settore all’altro del monumento. A meno di allestire per l’occasione dei palchi rimovibili, che però rappresenterebbero un’ulteriore spesa e potrebbero anche danneggiare le strutture antiche. In pratica si vuole costruire un palcoscenico senza palchi.

Ma non è tutto. Accanto a queste considerazioni pratiche, aggiungerei un parere tecnico.

Noi archeologi sappiamo bene quanto il Colosseo abbia dei problemi mai del tutto risolti e quindi sia un “sorvegliato speciale”. L’enorme edificio sorge infatti presso una falda acquifera, il cosiddetto “Fosso di San Clemente”, dal nome della splendida basilica che sorge nelle vicinanze. Un vero e proprio fiume carsico che in un passato anche molto recente ha causato infiltrazioni e allagamenti nei sotterranei dell’anfiteatro, che ne continuano a minare le fondamenta. Come sempre, si tratta di stabilire una scala di priorità, verificando quali siano i lavori più urgenti da fare e di conseguenza destinare i fondi in modo mirato e virtuoso. Troppo spesso abbiamo assistito a delle operazioni “di facciata”, peraltro costosissime, vòlte ad una presunta valorizzazione di questo o quel monumento, quando basterebbe una seria politica di conservazione, molto, molto più economica. Si intendono spendere oltre diciotto milioni di euro per una “arena” quando nei principali siti archeologici di Roma e provincia – dal Foro Romano a Villa Adriana – mancano persino i più elementari servizi igienici e tonnellate di importantissimi reperti archeologici rinvenuti in decenni di campagne di scavo raccolgono ancora la polvere in oscuri magazzini, in attesa di restauri e adeguata sistemazione. 

Roma è eterna ma non per questo va intesa solo e soltanto come una reliquia, si può e in alcuni casi, si deve modernizzare (basti pensare all’allestimento ormai antiquato di tanti nostri musei), ma con criterio, con una seria pianificazione degli interventi da attuare, non per mezzo di trovate propagandistiche atte solo a lanciare fumo negli occhi, con annunci mirabolanti di chissà quali gloriose prospettive e opportunità, altrimenti anche i suoi problemi saranno eterni.

Carlo Di Clemente

(Archeologo)

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